domenica 26 marzo 2017

TRACK BY TRACK:DEPECHE MODE - SPIRIT (2017)

TRACK BY TRACK: 
DEPECHE MODE - SPIRIT (2017)
LABEL : MUTE RECORDS
FORMAT : DIGITAL DOWNLOAD



Finalmente è arrivato l'attesissimo ritorno dei Depeche Mode, seguito di "Sounds of the universe" (che qualcosina di buono lo aveva espresso) e di "Delta machine" (molto al di sotto dei loro standard). Dischi come questo, di autentici mostri sacri dalla carriera ormai trentennale meritano almeno un ascolto su vasta scala da parte di tutti gli amanti della musica, a prescindere dal fatto che piacciano o no; io non amavo particolarmente le loro produzioni degli esordi (esclusi i grandi classici, ovviamente), ma li ho letteralmente adorati con "Songs of faith and devotion", che per me resta un album fondamentale, al limite della perfezione. Ancora oggi, brani come "Walking in my shoes", "In my room", "Higher love" restano nelle playlist del mio lettore, ed è sempre un piacere riascoltarli. Poi, con i dischi a seguire, pur avendo saltuariamente tirato fuori dal cilindro degli ottimi pezzi, non sono mai riusciti ad eguagliare quel risultato; e per quanto mi riguarda, la loro ispirazione è andata via via scemando, arrivando fino a "Delta machine", album che ho accantonato dopo pochi giorni perchè (a mio avviso) privo di idee e di incisività. Per questa occasione, ed anche per le prossime uscite di rilievo di grandi artisti, proverò ad esprimere un giudizio in diretta:cosa per niente facile, perchè sono convinto che l'orecchio debba essere prima educato da più di un paio di ascolti completi, per poter esprimere un giudizio assennato e fedele. E' anche vero, però, che tante impressioni del primo ascolto vanno poi perdute, o sostituite da altre considerazioni rendendo il tutto meno spontaneo.
E allora mi sono detto:perchè non concedere questa spontaneità almeno ai più grandi? I Depeche Mode rientrano tranquillamente in questa cerchia, ed è stuzzicante pensare che siano loro i primi con cui mi cimento in una recensione in presa diretta.
Ora entro nel vivo di questo nuovo lavoro, di cui tutti hanno potuto avere un assaggio qualche settimana fa con il lancio del singolo "Where's the revolution", che a me, per dirla tutta, non ha fatto impazzire; anzi, per essere proprio schietto e diretto, tremo al pensiero che possa essere davvero il pezzo di punta dell'intero album; se così fosse, prevedo l'ascolto di un album difficile ed articolato. 
Poco digeribile? puo' darsi. 
Molto sperimentale? quasi sicuramente.
Quindi, clicco sul tasto play e nel frattempo scriverò, traccia per traccia, cos'hanno combinato Dave Gahan e compagni per questa nuova fatica del 2017, intitolata "Spirit".
  
GOING BACKWARDS
Il disco si apre in pieno Depeche Mode style: quando Dave Gahan attacca a cantare non ci si può sbagliare, sarebbe riconoscibile anche ascoltandolo distrattamente. Sono numerosi i richiami e gli elementi comuni ai successi precedenti del gruppo (quelli dagli anni 90 in poi, almeno) anche se certe assonanze sono piuttosto pericolose:non si sa mai se è per pura autocitazione celebrativa o per mancanza di idee. Ma il pezzo naviga tra il lato più dark della band e quello più commerciale in modo egregio; e funziona.
WHERE'S THE REVOLUTION
Esprimersi su questo brano è più semplice, essendo il singolo di lancio già in circolazione da un mesetto. "Wrong" per dirne una, era un singolo molto più indovinato di "Revolution", che sembra esserne la brutta copia; ci voleva poco, invece, a fare di meglio del disco precedente, il cui scialbo lancio era stato affidato ad "Heaven", che non ha un briciolo dell'energia e della dirompenza che questo pezzo riesce almeno a trasmettere.
Il mid-tempo è scandito da tastiere ripetitive e sintentizatori piuttosto ruvidi, dove il ritornello riesce a fare presa dopo numerosi passaggi nelle cuffie; la resa live è assicurata, già vedo folle di fans cantarla a squarciagola. Nel complesso, affidargli la promozione dell'intero disco, forse, non è stata una scelta del tutto sbagliata, a patto che andando avanti si trovino altri brani validi.
THE WORST CRIME
Aperta da rintocchi di chitarra acustica e tastiere, questa melodia atmosferica e morbida ha le carte in regola per diventare un classico dei Depeche Mode. Mentre scrivo aspetto che subentrino altri strumenti, sperando allo stesso tempo che ciò non avvenga:per fortuna vengo accontentato, perchè "The worst crime" prosegue sullo stessa tema, e sulla terza strofa l'unico intervento della batteria non devia la strada intrapresa; realizzo che è veramente una canzone riuscita, come non se ne sentivano da tempo.
SCUM
Inizio elettronico tutto di stampo anni 80. La voce filtrata di Dave Gahan insegue la struttura quasi aritmica, sulla quale si appoggia anche una tastiera simil-organo. Il primo ascolto di una sperimentazione così spinta lascia un pò interdetti, ma nel complesso non dispiace. E del resto, me lo aspettavo:il gruppo inglese ha sempre percorso la strada dell'originalità con delle idee innovative; quindi non mi meraviglierei se fra qualche settimana, quando le orecchie avranno familiarizzato con il pezzo, possa arrivare a considerarlo uno dei più riusciti del disco.
YOU MOVE
Ancora una volta l'elettronica la fa da padrone, anche se la prima cosa che mi colpisce (in modo molto negativo) è un ritmo fuori tempo (ovviamente voluto perchè in loop):l'effetto è quello di un cd che salta, e non è piacevole perchè in questo caso viene richiesta troppo elasticità all'ascolto: sarò troppo ancorato agli schemi basilari per la creazione di una canzone, ma non sono abituato a sentire novità del genere. Più il brano va avanti e più diventa indecifrabile, in alcuni passaggi addirittura inconcludente. Nonostante mi sforzi di trovarci qualcosa di buono, posso affermare che è una delle cose peggiori ascoltate ultimamente.
COVER ME
Dopo una caduta fragorosa come il pezzo precedente, è necessaria una risalita immediata. L'inizio di questa "Cover me" sembra fornirla, per fortuna; perchè è un altro pezzo atmosferico, cupo, che sembra provenire direttamente da "Songs of faith and devotion". E in effetti, sia l'interpretazione, sia le sonorità ci restituiscono i migliori Depeche Mode, sebbene la canzone sembri quasi priva di ritornello. Dopo 2'30" il ritmo si fa più incalzante, e si trasforma lentamente in un pezzo tecno al rallentatore, per poi riprendere il tema tastieristico principale e scemare improvvisamente. Può sembrare un pezzo poco commerciale, ma è validissimo e, se potessi, lo lancerei persino in radio; con un video ben architettato, ha del grande potenziale
ETERNAL
Sono ormai nel cuore di "Spirit", ed è qui che i Depeche Mode si giocano l'indirizzo del mio giudizio finale. "Eternal" prosegue sulla scia oscura tracciata dai brani precedenti, ma dura soltanto due minuti scarsi...è più un intermezzo che una canzone vera e propria, e piazzato in un album di appena 12 tracce, ha veramente poco senso ed è tranquillamente evitabile.
POISON HEART
In questo brano riecheggiano suoni tipici dei classici soul degli anni 60, rielaborati elettronicamente con arte e sapienza. Il ritornello, pur senza parole (sostituite da una serie di "ooooohh") è piuttosto valido, ed è introdotto da un bellissimo "ponte" di chitarre acustiche che impreziosisce la traccia e la rende, alla resa dei conti, una delle migliori ascoltate fino ad ora.
SO MUCH LOVE
Batteria elettronica e tastiere tracciano il ritmo trascinante ed oppressivo di questo pezzo, su cui si dipanano le vocals di Gahan in modo lineare ma non sempre efficace; I controcori a chiudere quasi ogni strofa ci stanno bene, sebbene ancora una volta il ritornello sia praticamente assente. Non è proprio un male, ma mi sembra di sentire una sperimentazione dei Dead Can Dance o dei Joy Division (che non sopporto), quindi, aspettarsi qualcosina di più mi sembra lecito.
POORMAN
Mah...l'inizio sembra la musica di un videogioco; già capisco che non ci siamo. Sento una vaga delusione assalire l'entusiasmo di un nuovo grande disco da affiancare a "Ultra" e "Faith and Devotion". Sono passati appena 2 minuti  e "Poorman" mi ha già annoiato, è spenta e anche lagnosa a tratti. Gli concedo di arrivare alla fine, ma se devo essere sincero, è imperdonabile che dopo "You move", ci sia un altro passaggio completamente a vuoto. Che diamine, questo è un disco dei Depeche Mode! Intanto il brano continua a suonare, ma io non vedo l'ora di passare a quello successivo.
NO MORE (THIS IS THE LAST TIME)
Ecco, qui potrebbero risollevarsi le sorti di questo album. Ed in effetti, finalmente si sente uno straccio di ritornello, ed un abbozzo di struttura semplice e diretta; il gruppo ha queste capacità, e non capisco perchè non debbano essere sempre sfruttate. Va bene percorrere strade alternative e provare nuove sonorità, ma senza esagerare come nei pezzi precedenti. "No more" è piacevole ed anche orecchiabile, ma resta comunque lontana dalle migliori produzioni del gruppo; In ogni caso, non mi stupirei se venisse presa in considerazione come secondo singolo del disco.
FAIL
E si giunge così alla fine, con un'altra prova solo apparentemente tenebrosa:"Fail" è un cielo pieno di nuvole cariche di pioggia da cui esce un raggio di sole; si rischiara piano piano grazie alle tastiere ed anche il ritmo entra prima in punta di piedi, e poi più prepotentemente; non è un capolavoro, ma è ascoltabile. E quantomeno, funge da degna chiusura a questa nuova fatica di quello che era, fino a qualche anno fa, una delle band più magnetiche e camaleontiche in circolazione.



Con uno sguardo veloce ai testi, mi accorgo che anche qui, come in molti dei lavori precedenti, il tema politico è piuttosto ricorrente: è rivolto alla gente, ad un senso di ribellione inespresso e ad una delusione latente ed amara ("We're going backwards, ignoring the realities" canta Gahan nella prima canzone, ed è un pò questo lo spirito che pervade quasi ogni traccia dell'album). Tirando le somme, però, il risultato finale non è per niente positivo:per carità,il primo ascolto spesso è traditore, ed ho una chiara idea di quanti dischi abbia rivalutato nel tempo, dopo averli tenuti un pò nello stereo. Purtroppo i miei timori iniziali hanno trovato conferma, e "Spirit" comunque vadano le cose, non è un grande ritorno, e il perchè è presto detto:ci sono pochi alti e troppi bassi.
Così, su due piedi salverei 3 o 4 brani dei 12 ascoltati, che sono davvero un pò pochini:di questi, nessuno mi ha lasciato qualcosa impresso nella mente, ed andarlo a cercare adesso, fresco di ascolto, sarebbe solo tempo sprecato. 
La durata complessiva di questo lavoro sarà poco più di 40 minuti,ma garantisco che ascoltarlo interamente è stata una gran fatica. In passato, molti album dei Depeche Mode mi hanno lasciato un pò perplesso, ma lì si intuiva che avevano del potenziale:"Exciter", per esempio, che era nell'insieme confusionario e difficilmente catalogabile come questo "Spirit", aveva passaggi riuscitissimi come "Freelove" e "Goodnight lovers" che qui, purtroppo, mancano. 
"Spirit" non sembra averne le stesse qualità, è troppo dispersivo ed eccessivamente alternativo, nonostante sia sicuramente un lavoro migliore del precedente; se "Delta machine" è stato come un gratta e vinci perdente, questo "Spirit" è paragonabile ad uno che ti restituisce appena il costo del biglietto, anche se i numeri inizialmente sembravano quelli vincenti:cosa che in ogni caso lascia un bel pò di amaro in bocca.
(R.D.B.)


VOTO : 5/10
BEST TRACKS : "GOING BACKWARDS", "THE WORST CRIME", "NO MORE (THIS IS THE LAST CRIME)"







mercoledì 22 marzo 2017

PLAYLIST:METAL BALLADS

PLAYLIST :
METAL BALLADS



"E cos'altro può essere l'amore se non una segreta pazzia, un'opprimente amarezza e una benefica dolcezza?". Con queste parole, Shakespeare descrive l'amore in "Romeo and Juliet".
In questa personale selezione di quelle che io considero le migliori metal ballads di sempre, c'è un pò tutto di quella definizione del poeta inglese. In questo caso le parole sono accompagnate dalla musica, e non sono scritte su un libro; ma non c'è altro mezzo più diretto di questo, per sentir come prende vita un sentimento viscerale come l'amore, che è un tripudio di emozioni capaci di scombussolare l'anima di ogni individuo. Spesso, quella benefica dolcezza si tramuta anche in dolore vero e proprio:la morsa lancinante che soffoca il respiro, il groppo in gola che proprio non vuole saperne di andare giù. Perchè amare riempie il cuore, lo fa volare fin sù nel cielo ed anche oltre; ma a volte, sa anche fargli male, distruggerlo, farlo piangere. Ed è lì che certe melodie vanno ad inserirsi, specie nelle persone più sensibili e ricettive come il sottoscritto.
Ho da sempre adorato, musicalmente parlando, i lenti sofferti e struggenti. Sono un sognatore, una persona piuttosto romantica e sentimentale; vivo certe emozioni "di pancia" e, per questo, spesso ho sbattuto il muso contro il muro, standoci male e dannandomi dietro alla sofferenza per una persona andata via, un amore perso, o mai avuto. Ho vissuto in piena età adolescenziale una fase "heavy-metal", in cui questi amori e dolori hanno trovato pane per i loro denti e lo trovano ancora oggi, e qui ne spiegherò il perchè.
Il metal è sempre stato un genere di nicchia, ascoltato e vissuto da pochi, non dalla massa; ma nel suo ambito, ci sono delle bellissime canzoni d'amore; canzoni che sono degli autentici gioielli sonori, di gran lunga superiori ai classici di ogni genere e ai lentoni strappalacrime del pop. Sono pezzi "veri", suonati, vivi e mai stereotipati, ma in molti, troppi, ne ignorano l'esistenza; ed è un gran peccato che siano sconosciuti non solo al grande pubblico, ma anche alla stragrande maggioranza degli amanti della musica.
Questo purtroppo è un dato di fatto, e sebbene questi tesori siano suonati da musicisti con i fiocchi, mai gli è stato concesso il giusto e meritato risalto.
Lasciate stare quindi pezzi storici come "Without you" o "I want to know what love is", e se siete innamorati, o state vivendo delle autentiche pene per il vostro amore non ricambiato o finito da poco, fate un piacere a voi stessi e lasciate che il vostro stato d'animo viva almeno uno di questi brani.
Vi farà stare ancora più male, probabilmente. Vi soffermerete davanti al muro della vostra stanza valutando quanto sia il caso di sbatterci la testa. Vi farà perdere nei vostri pensieri. O più semplicemente sentirete quel tuffo al cuore che sembrerà acuire la vostra delusione.
Se invece le cose vanno bene, sostituirà i vostri occhi con un cuoricino, e non vedrete l'ora di farlo ascoltare alla vostra dolce metà. Rinvigorirà il vostro spirito, e vi farà sentire padroni del mondo.
Forse, vi sembrerà persino di camminare sulle nuvole. In ogni caso, non abbiate paura di provare emozioni con la musica:fa bene, è terapeutico e in fin dei conti...state solo vivendo. Vi sembra poco?
Per chiudere questa introduzione riprendo Shakespeare con un altro passaggio, tratto stavolta dal suo "Sogno di una notte di mezza estate":"l'amore guarda non con gli occhi, ma con l'anima". In questo caso, il nutrimento dell'anima è l'orecchio; mentre il cuore è sempre lì, che batte. E batte forte.
Questi sono i 5 lenti metal che, a mio avviso, vale la pena ascoltare almeno una volta nella vita, e che sono davvero tra le più belle canzoni mai scritte nell'intera storia della musica.
La mia scelta è ricaduta su 5 gruppi (e neanche un solista), di cui ben 4 provengono dal filone power metal (Stratovarius,Edguy,Helloween e Hammerfall); "l'intruso" è la band portabandiera più nota del filone progressive (Dream Theater);  E' stata dura dover escludere almeno altri 3 gruppi da questa playlist; se l'ho fatto, è esclusivamente perchè sono riconduncibili ad altri generi del rock e del metal, e li menziono qui per completezza:gli Entwine (che entreranno in un'eventuale playlist gothic), i W.A.S.P. (che troveranno sicuramente posto in una scaletta di love songs hard rock, insieme a band come Dokken e White Lion) e i Nightwish dei primi dischi, quelli con Tarja Turunen...che non sono in questa lista solo per ragioni prettamente numeriche (ne dovevo scegliere 5).
Ognuno dei brani di questa piccola playlist ha un significato particolare per me. Perchè li considero come delle fotografie del passato ripescate da una scatola chiusa in un cassetto. Perchè sono uno spaccato di vita. Perchè li ho ascoltati fino allo sfinimento, così tante volte che alla fine sono diventati parte di me. Perchè portano con sè centinaia di camminate solitarie in riva al mare, riflessioni davanti ad una finestra, ricordi a volte piacevoli, a volte dolorosi. Non posso pretendere che chi non ha mai ascoltato i pezzi che vado ad elencare, possa percepire le stesse emozioni che provo ed ho provato io. Vi basti sapere che almeno per chi scrive, anche a distanza di anni, queste canzoni "vivono". Ed ogni volta che suonano nel mio ipod o nel mio stereo, diventano "vita". 

1 - DREAM THEATER - THROUGH HER EYES

Come si può non rimanere incantati sin dalle prime note di questo favoloso pezzo firmato dai re del prog-metal? Il rintocco di tastiera, subito accompagnato da una splendida voce femminile e le chitarre che intervengono saltuariamente ad impreziosire il tutto sono un'apertura scioccante per dolcezza ed intensità. Quando subentra il solenne ritmo di chitarre acustiche e pianoforte, l'atmosfera cambia, ma non le emozioni:ascoltare delle note così delicate, cariche di sentimento, letteralemente sublimi, lascia storditi e ammaliati. La musica di "Through her eyes" parla anche senza parole. Il testo è solo un'ulteriore sottolineatura dello splendore di questo brano, sebbene racconti dell'enorme sofferenza dietro la perdita di una persona senza che si possa far niente per riaverla, delle incertezze e delle promesse mancate della vita, delle speranze che si tramutano in dolore ed a volte, anche in tragedia; in fondo siamo un pò tutti vittime delle circostanze ("She never really had a chance on that fateful moonlit night, sacrificed without a fight; a victim of a circumstance"), ma quando si ha un legame molto forte con un'altra persona, è lì che va ricercato sollievo per le proprie pene:quella presenza a cui basta uno sguardo per farti scorrere tutta la tua vita intera davanti ("I felt so empty as I cried like part of me had died, I'm learning all about my life by looking through her eyes..."). La chiusura è quanto di più bello i Dream Theater avessero potuto architettare, con la voce limpida di James LaBrie che diventa strumento ipnotizzante, quasi come il canto di una sirena:va a completare l'orchestrazione, e diventa esso stesso strumento talmente vivo che lascia l'ascoltatore ipnotizzato, e pervaso da un senso di malinconia opprimente.
Tratta dal bellissimo album del 1999 "Metropolis part II:Scenes from a memory" (dove trova posto anche una rielaborazione dello stesso tema musicale ma con un testo diverso, il cui titolo è "Through my words/Fatal tragedy"), "Through her eyes" è senza ombra di dubbio uno dei più bei pezzi nell'intera storia del metal melodico.

2 - HELLOWEEN - FOREVER AND ONE (NEVERLAND)

Composta per il secondo disco in studio dell'allora nuova formazione degli Helloween,"The time of the oath", e dopo un lungo periodo di crisi della band che portò alla dipartita del cantante Michael Kiske, "Forever and one" contribuì insieme all'intero album a riportare gli Helloween ai fasti degli esordi,e ad essere i dominatori indiscussi della scena metal tedesca. E' qui che i fans di lunga data si sono innamorati della voce di Andy Deris (ex Pink Cream 69), ed è qui che io scoprii il gruppo:anzi, addirittura questo pezzo mi fece capire quanto le power ballads del genere heavy fossero superiori alle classiche canzoni d'amore. Nonostante stia parlando di 20 anni fa, questo è un brano che ancor oggi non sono stanco di riascoltare. Anche qui è il pianoforte a dare il via al sogno ad occhi aperti, che tanto per cambiare cela amarezza e delusione per le bugie di una persona che si ama in modo irrazionale; quel tipo di amore che a volte porta al perdono,nonostante il dolore e la rabbia; ed anche se la mente è distante, il cuore è vicino, per restare al fianco di questa persona ("Here I am, seeing you once again my mind's so far away,my heart's so close to stay..."). E' il classico dibattito interiore, che non ti permette di allontanarti definitivamente da chi è veramente importante nella tua vita; nonostante abbia tradito la tua fiducia, ed abbia spezzato il tuo cuore, e nonostante la consapevolezza di nuove e future lacrime, sai già che se ti allontanerai, ti mancherà ("Forever and one I will miss you; However, I kiss you yet again way down in Neverland...So hard I was tryin', tomorrow I'll still be crying...How could you hid your lies, your lies?...").
Il ritornello, in pieno stile power-ballad, è energico e potente, con la voce che spicca per la sua ampia tonalità e per l'interpretazione di Deris. Gli Helloween hanno sfornato diverse ballate meravigliose negli anni (ce n'è almeno una in ogni disco), tanto da diventare degli autentici maestri del genere; ma questa...beh, questa le batte davvero tutte.

3 - EDGUY - SCARLET ROSE

Nel 1998, quando gli Edguy ancora giovanissimi pubblicarono "Vain glory opera", rimasi folgorato:non solo era un album di qualità e ben strutturato, ma grazie alla scuola di artisti già all'epoca veterani (Hansi Kursch dei Blind Guardian, Timo Tolkki degli Stratovarius), riuscirono a farsi strada nella scena metal allora affollatissima con uno stile che negli anni è diventato un vero marchio di fabbrica. "Scarlet rose" è una ballad costruita per metà su una chitarra acustica; gioca su un chiaro-scuro di sentimenti sin dalle prime strofe ("the moment when you held me tight won't come back anymore, and at the end of that night you slammed the door..."), e sale lentamente di tonalità con le tastiere, fino ad esplodere con l'ingresso della chitarra elettrica nel secondo ritornello. La chiusura è cupa e triste, con la voce filtrata di Tobias Sammet su un tappeto tastieristico registrata in modo da creare un effetto di allontanamento del protagonista da quella bellissima storia d'amore, bella come una rosa scarlatta, che è morta, e persa nella notte: "The scarlet rose has died, lost inside the night, left in my mind like a dream and full of pride...". Qui i ricordi di quei momenti unici trascorsi con la propria amata portano solo dolore e delusione per ciò che poteva essere, e ciò che non è stato ("Nothing is forever in life but a memory believe it's true, and when I gaze in the rain I'm crying just for you..."), e l'orgoglio non lascia vie di uscita, nè concede spazio ad un eventuale recupero. Anche gli Edguy, come gli Helloween, portano con sè un campionario niente male di ballate (basti pensare a "Tomorrow", presente sullo stesso album), ma in questo caso vale il detto "il primo amore non si scorda mai". E il primo amore della discografia degli Edguy ad entrare nelle mie cuffie, è stato "Scarlet rose".


4 - STRATOVARIUS - BEFORE THE WINTER

Ah, quante volte ho sognato ad occhi aperti su questa melodia ipnotica! Ad aprirla, sono delle tastiere con note altissime e meravigliose (se mai un giorno gli Stratovarius dovessero riproporla suonata con un'orchestra, credo che dovrei prepararmi a raccogliere la mia mascella da terra). La tematica stavolta tratta la distanza tra due persone che si amano: Timo Tolkki, il chitarrista e leader del gruppo all'epoca, probabilmente nel comporla pensava alla moglie, che avrebbe dovuto lasciare a breve per partire in tour con il gruppo; il testo è quindi una promessa di ritorno, e mentre lui, guardando cadere le foglie, sente l'imminente arrivo dell'inverno, rassicura il suo amore dicendole che ripercorreranno quella stessa strada insieme, e che il vento le porterà i suoi messaggi per riscaldarla; così, i loro sentimenti rimarranno vivi finchè non tornerà, e il sogno di riabbracciarsi si avvererà: "The path to home is long and winding, I'll keep the flame alive for you until I am back. You and I will walk that road together,
I'll show that all the dreams are true if you only let them be before the winter...
".

Splendido il break a metà canzone, dove la tastiera ripete fino allo sfinimento due note,mentre l'organo con il suo suono grave e malinconico apre la strada all'assolo disperato di Tolkki, autentica gemma incastonata nel cuore del pezzo.
"Before the winter" è tratta dall'album "Visions", che consiglio a chiunque sia un amante della musica: perchè è uno degli album più belli,completi ed originali nella storia dell'heavy metal; perchè è suonato splendidamente; perchè contiene 10 tracce elaboratissime e mai noiose; e perchè tra queste...c'è "Before the winter".

5 - HAMMERFALL - ALWAYS WILL BE

Gli Hammerfall hanno da sempre fatto del power metal la loro bandiera:piano piano sono cresciuti, fino a raggiungere il livello degli Helloween, di cui sono connazionali. E proprio con l'altro gruppo tedesco hanno in comune la capacità di comporre delle splendide canzoni d'amore. "Always will be" è l'omaggio ad una donna che non c'è più, ma nasconde un singificato più ampio ed universale:quello di un sentimento eterno. "So I say farewell, I'm yours forever,and I always will be", non è forse ciò che vorremmo dire a qualcuno di veramente importante almeno una volta? Credo che ognuno di noi abbia una persona, che non siano i nostri famigliari, a cui dire o a cui è stato detto "io per te ci sarò sempre". Io ho avuto la fortuna di trovarla e di averla ancora qui dopo tanti anni, e sicuramente leggerà anche queste righe. Ed è proprio a quella persona che io penso quando ascolto questa ballata delicata come un fiore. Aperta da un suono di chitarra elettrica "piangente" (o di flauto nella riproposizione acustica, a seconda della versione che si decide di ascoltare), la canzone ha una struttura ben definita che non cambia mai, sulla quale è l'interpretazione e la storia che racconta il testo a rubare la scena. "Always will be" è tratta dall'album "Renegade" del 2000, non uno dei migliori lavori del gruppo (che restano ancor oggi "Glory to the brave" e "The legacy of kings") ma comunque un ottimo disco. 
Ero combattuto, lo ammetto:fino all'ultimo mi sono riservato la scelta di inserire in questa playlist "Always will be" o "The fallen one", altro meraviglioso brano incluso sull'album precedente degli Hammerfall; più che il brano di per sè, ha vinto il significato ed il legame con esso, che in questo contesto può essere visto come il cuore che ha dominato sulla testa.


Se avessi potuto, non avrei esitato ad aggiungere almeno altre 2/3 canzoni, ma elencarne 7 non avrebbe avuto senso...arrivare a 10 avrebbe reso questo post troppo lungo, e quindi sono dovuto scendere a compromessi con il mio entusiasmo nella scelta tra decine di brani che adoro. A chiunque legga, consiglio vivamente di non fermarsi al "commerciale" e di scavare, anche in generi apparentemente ostici; perchè di canzoni valide ce ne sono tante, molte di più di quante crediate. Ma non sempre (anzi, diciamolo:quasi mai!) vengono spinte dalle radio, dalle case discografiche, e dalla stampa specializzata. Bisogna andarsele a cercare, a volte anche con una coraggiosa apertura di mente. Se dovessi ritrovarmi in un'isola deserta, e mi dicessero che ho a disposizione solo una scelta ristretta di canzoni da tenere con me in un ipod, queste le inserirei di sicuro. Se volessi del sottofondo musicale ad una cena romantica, questi cd li terrei a portata di mano, con altissimie probabilità che almeno uno finisca nel lettore. Se voglio starmene un pò per fatti miei, a distruggermi il cuore, a piangere, o a ricordare momenti migliori, probabilmente questi brani mi faranno da colonna sonora. 
Insomma, il loro utilizzo è molteplice:la canzoni selezionate ormai vanno tutte per i vent'anni di età, ma se dopo così tanto tempo fanno ancora questo effetto, sono convinto che questa sia della grande musica; veicolo ideale per quella "opprimente amarezza" e quella "benefica dolcezza" che ho citato all'inizio. Mette in risalto le emozioni, che per l'appunto sono vita; e che vita sarebbe se non provassimo emozioni?
(R.D.B.)

giovedì 16 marzo 2017

RECENSIONE:ROBBIE WILLIAMS - THE HEAVY ENTERTAINMENT SHOW (2016)


ROBBIE WILLIAMS - THE HEAVY ENTERTAINMENT SHOW (2016)
LABEL : COLUMBIA/SONY MUSIC
FORMAT : 2 LP 180 GR.






"Ecco, è tornato il matto". Questo è ciò che ho detto di fronte alla prima visione del video "Party like a russian", singolo che ha anticipato l'uscita del tanto atteso "The heavy entertainment show". Mentre lo dicevo, guardando i continui cambi di ruolo di Robbie e le sue buffe espressioni facciali, ho sorriso e in cuor mio ho anche pensato "era ora"; perchè Robbie Williams torna a fare quello che sa fare meglio:la popstar.
Da sempre artista megalomane e un pò giullaresco, pieno di esuberanza e spesso bizzarro, Robbie Williams è anche, e soprattutto, un grande intrattenitore; e in questo campo ha davvero pochissimi rivali. Quindi, dismessi finalmente i panni  del cantante swing che aveva appallato il sottoscritto (e non solo), e quelli cantautoriali un pò insipidi ("Take the crown" non è stato niente di memorabile), il visionario showman, comico e stramaladettamente serio allo stesso tempo, riprende il filone che lo aveva contraddistinto nella prima parte della sua carriera solista. E lo fa invitandoci al suo spettacolo dell'intrattenimento sfrenato (il titolo è già un programma), un caos sonoro ripartito in 16 canzoni (5 delle quali sono bonus tracks presenti solo nella deluxe edition e nella versione in vinile), variegate e frizzanti anche se non sempre lucide e riuscite; in ogni caso, un circo pazzesco dove lo stile del cantante inglese spazia con la naturalezza di un tempo.
Ad aprire questa parata carnevalesca, è la canzone che da il titolo al disco:orchestra a go-go, continui cambi di ritmo, magnificenza e manie di grandezza a profusione; l'esatta fotografia del personaggio che Williams ha costruito per sè negli ultimi 20 anni, ed un chiaro manifesto di dove vuole arrivare questo disco:a liberare l'ascoltatore dai dogmi della normalità, lasciandolo entrare in una festa pomposa fatta di musica circense alternata a melodie fiabesche, i cori femminili che si abbinano al pop orchestrale, dove il protagonista è lui, Robbie, in versione caricaturale; l'artista che ti ruba le orecchie e ti libera dalle catene della vita quotidiana, ti fa levare giacca e cravatta e ti spinge a scendere in pista:
"Good evening, children of cultural abandon
You searched for a saviour, well here I am
And all the best ones are dying off so quickly
While I'm still here, enjoy me while you can
Welcome to the Heavy Entertainment Show
The charisma’s non-negotiable
Welcome to the Heavy Entertainment Show
I'm about to strip and you’re my pole
We are so glorious
Why not leave your job and come on tour with us?
Before I drop dead and die..."
"Vi darò tutto e anche di più" recita ad un tratto Robbie, ed effettivamente l'impegno nella produzione di questo album non è mancata; gli ospiti sono tanti (da Ed Sheeran a Rufus Wainwright), e per ritrovare la verve dei lustri migliori, è stato richiamato a produrlo il fidatissimo Guy Chambers.
Così, dopo questa introduzione pomposa, irrompe "Party like a russian", con il suo incedere possente e massiccio; è un mid-tempo accompagnato da numerosi elementi orchestrali, che va addirittura a campionare "Dance of the knights" tratta dal "Romeo and Juliet" di Sergei Prokofiev. Ad impreziosire il tutto, dei simil canti gregoriani su cui si dipana la voce scatenata dell'ex Take That; in questo caso è intrattenitore e fenomeno da baraccone allo stesso tempo, che ti invita a festeggiare come se non ci fosse un domani:
"...Ain't no refutin' or disputin' - I'm a modern Rasputin
Subcontract disputes to some brutes in Louboutin
Act highfalutin' while my boys put the boots in
(They do the can-can)
(Spasibo)
Party like a Russian
End of discussion
Dance like it got concussion, oh
Put a doll inside a doll
Party like a Russian
Disco seduction
Party like a Russian, oh
Have it like an oligarch..."
Cosa facciano di così particolare i russi per divertirsi lo sa solo lui, ma il pezzo è trascinante e facilmente canticchiabile, anche se il primo ascolto lascia inevitabilmente spiazzati per la profusione di così tanti elementi musicali slegati solo in apparenza.
A questo inizio roboante segue "Mixed signals", che arriva quasi in punta di piedi; le orecchie, stordite, si devono abituare e l'effetto che fa il terzo solco di questo disco è simile a quello che si prova dopo aver chiuso la porta di una stanza affollata ed essersi spostati in una silenziosa. La canzone vede la partecipazione del gruppo alternative rock americano The Killers, che ha firmato anche il brano, ed ha una melodia ariosa e a tratti contagiosa, alla quale Williams offre una prova vocale all'altezza.
Più la si ascolta, e più si percepisce quanto "Mixed signals" avrebbe potuto tranquillamente trovare posto in "Escapology"o in "Life thru a lens". Rimanendo su questa scia, alzi la mano chi non sia in grado di riconoscere nel giro di pianoforte di "Love my life"(il brano successivo) la stessa combinazione di note di "Feel".  La somiglianza è impressionante, in alcuni passaggi addirittura ritmo e arrangiamenti sembrano quasi delle autocitazioni; questo sospetto diventa certezza quando, sul finire del brano, si aggiunge un ulteriore accompagnamento musicale simile ad un altro grande successo di Robbie, "No regrets". E' chiaro come in questo frangente Williams abbia cercato ispirazione nelle personali glorie del passato, rischiando pericolosamente di plagiare sè stesso; alla fine più che di una povertà creativa, si può parlare di un "copia e incolla" ricercato per definire ulteriormente uno stile e giocare sul sicuro, oltre che per ricordare ai fans che lui non è cambiato: è sempre Robbie Williams, nonostante gli anni passino. Ad ulteriore supporto di questa tesi, la copertina del disco vede due Robbie pronti a sfidarsi in un incontro di pugilato:uno con l'aria più infervorata e maligna (il Robbie scatenato e straripante del passato), l'altro con l'aria più rilassata e sicura di sè (quello attuale, che ha messo la testa a posto e che è più consapevole dei propri mezzi).
Il testo di "Love my life" è stato scritto per i suoi figli piccolini, di 5 e 3 anni, ed è un'autocelebrazione delle proprie capacità, quasi un manifesto automotivazionale per trasmettere sicurezza e certezze ai bimbi:un papà romanticone e affettuoso che afferma di essere carico di energie, di sentirsi libero e di amare la propria vita.
Fin qui, "The heavy entertainment show" ha inanellato 4 brani su 4 che, in un modo o nell'altro lasciano il segno, e valgono già di per sè il disco. Un difetto che però tutti gli album di Robbie Williams hanno in comune, è quello di perdersi in un bicchier d'acqua, a volte con brani stucchevoli e noiosi; è un pò quello che è sempre mancato per far sì che riuscisse a dare alle stampe un capolavoro.
E purtroppo, anche questo presenta lo stesso problema:"Mother fucker" non sarebbe neanche malaccio,ma sicuramente non mantiene le promesse dei brani iniziali. E' brano piatto e privo di mordente, che non lascia il segno nè la voglia di riascoltarlo; considerato che di materiale a disposizione ce ne era tanto, poteva anche essere accantonato, o al limite slittato tra le bonus tracks, in luogo di pezzi che avrebbero meritato sicuramente sorte migliore (e di cui parlerò tra poco).
Le cose vanno un pochino meglio con "Bruce Lee", che vede Robbie cimentarsi in un falsetto niente male, divertente e riuscito; e tornano ad andare alla grande con "Sensitive", che riporta il disco ad altissimi livelli:il pezzo è un electro/dance  di ispirazione ottantiana, con un ritornello orecchiabile e di facile presa. Tirando le somme, risulterà essere uno dei passaggi più riusciti dell'intero lavoro, perchè a quelle sonorità dance di 4 decenni fa, aggiunge freschezza ed una produzione di altissimo livello ed ispiratissima; se uscisse come singolo, le radio non potrebbero fare a meno di passarlo in continuazione.
Il lento "David's song" serve da break, con il piano e gli archi che accompagnano la voce del cantante britannico; questa alchimia la ricordiamo tutti in pezzi storici come "Eternity", e lui è consapevolissimo di quanto sia capace di valorizzarli fino a farli rendere al massimo. 
Una volta servita la pausa acustica, lo show può ripartire e il circo può rimettersi in moto; e lo fa con l'up-tempo "Pretty woman", dove è riconoscibile la chitarra acustica su base elettronica di Ed Sheeran, ormai guru anche in veste di produttore e cecchino che non fallisce più un colpo.
Ad impreziosire "Hotel crazy" c'è un altro ospite d'eccezione, Rufus Wainwright. Nonostante un paio di ascolti in successione, è stato una mezza delusione perchè mi sarei aspettato qualcosa di meglio dall'incontro dei due artisti; il risultato invece è un brano piuttosto sciapo, con una vaga sfumatura swing appiccicata a sonorità moderne che lo rendono un ibrido senza arte nè parte.
Qui l'album perde un pochino di verve e di incisività, ed infatti neanche il pezzo a seguire va nella giusta direzione:"Sensational" di sensazionale ha solo il titolo, e stavolta le autocitazioni sonore dei dischi precedenti diventano posticce e messe lì un pò a caso, senza costrutto e grande ispirazione.
E' un peccato che brani come questi, che non sono brutti (c'è senz'altro molto di peggio), ma noiosi ed inconcludenti vadano poi a macchiare un lavoro nel complesso riuscito e di buon livello; questo è il lato oscuro di Robbie Williams, che come dicevo prima, è comune un pò a tutti i suoi dischi:grandi colpi di genio, ed anche fiacche battute d'arresto.
"Sensational" chiude la versione standard del disco un pò ingloriosamente; e allora suggerisco a chiunque voglia ascoltare o comprare questa nuova opera di Robbie Williams, di non perdere la deluxe edition; il perchè è presto detto:come tanti, tantissimi dischi (farne un elenco è impossibile, sciorinerei una lista di artisti sconfinata), nasconde delle autentiche perle tra le bonus tracks. 
Non sono mai riuscito a capire se sia colpa degli autori, dei produttori o delle case discografiche, nè se sono scelte di marketing per vendere una versione più dell'altra (ma allora che senso avrebbe distribuire una versione standard?). Fatto sta, che chiunque sia il colpevole o la motivazione che c'è dietro, tante canzoni validissime vengono relegate al ruolo di comprimarie, e per questo svalutate e "bruciate" a livello commerciale, tant'è che quasi mai questi brani vengono presi in considerazione per essere lanciati come singoli.
E così,"When you know", che è la prima traccia bonus, riesce a risollevare le sorti dello spettacolo di Robbie:quel suono di arpa persistente la caratterizza rendendola quasi ipnotica, ed a tratti dolcemente rilassante. "Time on earth" è il brano che dà forma e fondamento al mio discorso, perchè è davvero un grandissimo pezzo orecchiabile, atmosferico e corposo; l'intrattenitore qui si racconta, apre il suo cuore con la solita spavalderia - stavolta malinconica, però - tirando in ballo i presunti detrattori e ribadendogli che lui comunque spenderà il tempo che gli rimane su questa terra per fare la storia, seguendo il suo destino che è su un palco:
"I want to take my time on earth
And give it meaning
They say you get what you deserve
I know the feeling
Those dumb looks only get you so far
What's behind your eyes makes you a star
I'm gonna walk onto that stage like it's my destiny
Stand and tell the truth, make no apologies
If tomorrow I should die, these are my memories
I'm gonna take this simple life and make history..."
Ci tengo a ribadire quanto mi dispiaccia che una canzone di questa portata sia stato inserita tra le bonus tracks:a mio avviso, sarebbe stata una hit radiofonica, ed un singolo di sicuro successo oltre che ottimo traino per la promozione del disco; invece resterà un tesoro quasi nascosto che si dovrà andare a scovare con le proprie orecchie solo sul finire dell'album.
Anche "I don't want to hurt you" è un brano valido, dove le percussioni sono accompagnate da un arrangiamento elaborato su cui spicca l'organo, mentre la voce di John Grant (ennesima collaborazione del disco) insegue quella di Robbie Williams su continui cambi di ritmo che contribuiscono a renderlo vario e, per questo, ancor più gradevole. Chiudono il disco "Best intentions" e "Marry me", le uniche scelte indovinate come bonus: la prima è un motivetto innocuo che è difficile da decifrare e poi ricordare, la seconda è un'altro lentone abbastanza gradevole, che ha la pecca di essere troppo mieloso; nel complesso, nulla di particolarmente spettacolare, insomma,poichè nessuno dei 2 brani aggiunge qualcosa di più al risultato finale. 
"The heavy entertainment show" è un buon album (ma non un capolavoro) per diversi motivi:intanto ci restituisce un'artista ispirato e spregiudicato come ai vecchi tempi; e poi offre una carrellata di pezzi pop un pò per tutti i gusti, sospesa tra autocelebrazione in puro stile Williams ed elementi innovativi inseriti in modo ragionato (mix necessario da elaborare per dare una rinfrescata al suo stile cantautoriale). In questa parata di brani, Robbie regala anche una manciata di canzoni di notevole spessore, che vanno ad ampliare ulteriormente il già ricco carnet di memorabili successi inanellati dal cantante inglese in passato. A tratti commuove, e spesso diverte, anche se a volte la quadratura del cerchio non si riesce a trovare, o risulta troppo approsimativa.
Per questo non può essere certo considerato un disco perfetto, e neanche essenziale; però è piacevole, e quando cala il sipario, lo show imbastito da questo abile intrattenitore sembra sia valso il prezzo del biglietto.
Se poi sentite qualcuno lamentarsi, perchè è troppo pacchiano, troppo kitsch, troppo confusionario, ricordategli il livello generale della musica odierna (piuttosto scadente, direi) e fategli ascoltare un pezzo come "Time on earth"; le probabilità che si metta in fila per avere un biglietto per il "The heavy entertainment show" cresceranno senza ombra di dubbio.
(R.D.B.)

VOTO : 6,5/10
BEST TRACKS : PARTY LIKE A RUSSIAN, SENSITIVE, 
TIME ON EARTH, LOVE MY LIFE.



martedì 7 marzo 2017

RECENSIONE:THE WEEKND - STARBOY (2016)

THE WEEKND - STARBOY (2016)
LABEL : XO/Republic
FORMAT : LIMITED EDITION 2 X TRANSLUCENT RED VINYL SET






Ed ecco l'artista del momento (almeno negli USA), con il seguito dell'acclamatissimo "Beauty behind the madness" che ha avuto il merito di elevare The Weeknd da artista-innovatore di puro R&B allo status di superstar mondiale. Il titolo, stavolta, più diretto e meno elaborato, è "Starboy", ed è un disco che ho aspettato con la tipica ansia e curiosità che si ha dopo aver consumato un disco bellissimo come il precedente; la volta scorsa, l'avvicinamento a "Beauty" era più che altro dovuto a curiosità, nata dall'ascolto di "Earned it", brano portante del film "Cinquanta sfumature di grigio" e pezzo che è andato vicino tanto così dal vincere l'Oscar come miglior colonna sonora (peccato che lo stesso non si possa dire del film, ma questo è un altro discorso). Quella curiosità si trasformò poi in sorpresa nel trovarsi davanti un lavoro più maturo e più professionale dei 3 dischi di esordio (senza contare i mixtape, raggruppati in un secondo tempo sotto il nome di "Trilogy").
Questa volta, però, le aspettative sono state diverse, perchè dopo un ottimo risultato aspetti l'artista al varco, sai cosa ti puoi aspettare ed inevitabilmente poi vai a fare un raffronto con il disco precedente, sperando che si parli di un lavoro migliore piuttosto che di una delusione. Ed io, per tagliare corto, il raffronto lo faccio subito, e lo dico forte e chiaro sin da ora:"Starboy" è di gran lunga superiore a "Beauty behind the madness", ed il perchè lo dirò a breve entrando nel dettaglio; intanto però, posso dire che è un lavoro senz'altro più elaborato e studiato nei minimi particolari. Chiaramente, The Weeknd sapeva che con questo disco doveva confermare il successo precedente e la posta in palio era piuttosto alta; lui ha alzato il tiro, ha corretto i punti deboli di "Beauty" e li ha fatti diventare dei cardini per un album imprescindibile per ogni amante dell'R&B ma anche per il grande pubblico pop, da avere assolutamente. Il rischio più grande era quello di perdere quella verve innovativa ed originale che lo aveva contraddistinto fino ad ora, assai bilanciata ed oculata, senza per forza dover strafare (esagerando come Drake), e senza essere troppo ancorato ai clichè fin troppo ripetitivi del soul (vedi Bruno Mars). Di carne al fuoco ne ha messa tanta, ed analizzarla tutta non è stato semplice, ma cercherò di spiegare come ho affrontato il secondo ascolto completo di "Starboy" (il primo è stato un'infarinatura necessaria a familiarizzare con i brani che non avevo ascoltato in anteprima).
L'ho immaginato come un concept album, anche se concept nella realtà non è; musicalmente parlando però, è bilanciato in un modo in cui i brani più vivi e movimentati, concentrati nella prima parte, lascino man mano spazio a pezzi più atmosferici e dal ritmo più blando e rilassato, un pò come il trascorrere di una giornata. Ogni canzone va così a ricoprire il trascorrere di un giorno di Weeknd/Starboy; partendo dalla mattina, in cui le energie sprizzano da tutti i pori e tutto ruota in funzione di una notte scatenata in un club, per arrivare poi al pomeriggio, più compassato e vissuto in preparazione della serata, fino all'intervento di una voce femminile (la Stargirl), che appare e scompare improvvisamente, lasciando un vuoto malinconico che in qualche modo offusca la lucidità del ragazzo stellare; la musica si incupisce, a tratti fotografa vera e propria disperazione nell'affannosa ricerca di quella donna angelo/sogno, fino alle prime luci dell'alba con il lieto fine.
E' una visione d'insieme del tutto personale, la mia, perchè in realtà i testi vanno un pò qui e lì rappresentano diverse fasi personali dell'autore, disagi e romanticherie varie (anche piuttosto spinte ed esplicite); ma non è detto che la mia chiave di lettura (visto che una bisogna pur trovarla) si discosti poi tanto dall'idea originale dell'artista.
Ad ogni modo, l'inizio di questa giornata si apre con la title track, "Starboy" che ovviamente presenta il nostro protagonista e ci dice chi è:un ragazzo di 27 anni, Abel Makkonen Tesfaye, divenuto famoso ed idolatrato dal mondo come se provenisse dallo spazio; una nuova vita in cui è difficile ritrovarsi, e in cui lui stesso si chiede "look what you've done" (guarda cosa hai fatto):
"House so empty, need a centerpiece
Twenty racks a table cut from ebony
Cut that ivory into skinny pieces
Then she clean it with her face man I love my baby
You talking money, need a hearing aid
You talking 'bout me, I don’t see a shade
Switch up my style, I take any lane
I switch up my cup, I kill any pain
Look what you've done
I’m a motherfuckin' starboy
Look what you've done
I'm a motherfuckin’ starboy..."
Il brano vede la partecipazione dei Daft Punk (che firmeranno anche la chiusura del disco, riportando la storia al punto di partenza), e qui la domanda viene spontanea:chi si sarebbe mai aspettato una collaborazione del genere? Eppure l'incontro fra due mondi musicali completamente diversi qui funziona, e alla grande; è evidente quanto sia i Daft Punk, sia The Weeknd siano in un momento di grazia, dove qualsiasi cosa che toccano diventa oro. "Starboy" ha un beat che ti entra dentro in pochi secondi, tipica produzione elettro/dance dei dj francesi; ma appena la tastiera sintetizzata entra nel brano accompagnata dalla voce limpida di Abel, si passa in un attimo allo stile riconoscibilissimo ed esclusivo di The Weeknd:l'esperimento è quindi riuscito sin dalle prime battute, perchè l'elettronica europea si plasma con l'R&B americano e i due mondi si amalgamano in qualcosa di unico, tramutandosi in un autentico piacere per le orecchie. Un po' come "Get lucky"(grande successo firmato dai Daft Punk di qualche anno fa), "Starboy" è contagiosa, ti prende a poco a poco finchè ti accorgi che non puoi fare più a meno di ascoltarla. Le voci elettroniche dei Daft intervengono sporadicamente nel brano, ma ogni volta che entrano lo fanno con sapienza ed accortezza, lasciando la scena al protagonista fino al finale in crescendo, semplice ed efficace.
Il lungo giorno prosegue con le chiare influenze di attualissima disco music di "False alarm" (accompagnata da un videoclip girato in soggettiva allucinante ed incredibilmente originale), e il ritmo è così trascinante che è impossibile starsene seduti in poltrona:è musica che chiama al movimento, invita a scatenarsi, ad agitarsi, alzare le mani a tempo. Lo Starboy è scatenato e carico di energie, le stesse che ognuno di noi sente scorrere giù per il corpo quando siamo in attesa di un particolare evento che ci piace e che siamo certi accadrà a breve.
"Party monster" è sullo stesso filone tematico, puro R&B che però a volte trovo un pò stucchevole, perchè riproposto in tutte le salse ormai da anni. E' un momento di riflessione dopo una partenza scattante, che fa da ponte alla chiusura della prima parte della giornata dello Starboy, rappresentata da "Reminder"; costruita sul suono di un pianoforte persistente ma che all'orecchio risulta quasi lontano, come se fosse suonato in un'altra stanza, il brano lascia scorrere a fiumi parole e riflessioni sull'eterno dilemma di quest'uomo:la paura di perdersi nel labirinto del suo enorme successo ("Everytime we try to forget who I am, I'll be right there to remind you again") e l'autentico terrore di avere a che fare con qualcosa di più grande di lui ("Said I'm just tryin' a swim in something wetter than the ocean"); la visione è piuttosto distante dalla vita di consumate superstars che pensano solo al guadagno e a scoparsi una donna dopo l'altra.
Nel bel mezzo del disco, arriva "Rockin", un uptempo che se verrà estratto come singolo conquisterà le radio. Stavolta, ciò che viene impresso a parole è qualcosa di più leggero e spensierato, e per una volta i sentimenti vengono messi da parte; gli ingredienti sono quelli della musica dance più commerciale, dove i synth e l'autotune sono padroni indiscussi della scena.
Giunti a questo punto, si vede già che in "Starboy" c'è una gran varietà di generi, ed un assaggio per tutti i gusti:lo stile ricorrente rimane quello tipico dell'R&B più recente, ma le sfaccettature sono numerose, e anche per i meno vicini al genere "black" prima o poi qualcosa di gradevole salta fuori.
Uno dei pezzi più riusciti dell'intero album è "Secrets", che ricorda vagamente "In the night", altro successo di The Weeknd di un paio di anni fa. In realtà, sin dal primo ascolto la base aveva un qualcos'altro di familiare, di già conosciuto; ammetto di essere letteralmente impazzito quando, alla fine del primo ritornello, la vera fonte di ispirazione del brano emerge improvvisamente con il campionamento di "Pale shelter" dei Tears For Fears. E' come una maschera elaboratissima indossata da una persona misteriosa che, quando viene tolta, rivela un viso conosciuto e rassicurante:che ricordi, e che tuffo nel passato! Averla inserita così, a sorpresa, nel bel mezzo di "Secrets" mi ha prima spiazzato e poi esaltato:"Pale shelter" è stato da sempre uno dei miei pezzi preferiti degli anni 80, e questo tributo non fa altro che ricordare quanto la musica odierna debba molto, se non tutto, a questi classici senza tempo.
E' interessante anche la prova vocale di The Weeknd, che in questo caso abbassa la tonalità portandola quasi a quella di un leggero baritono in perfetta sintonia con la base; un'ottima prova di versatilità e di capacità non comuni da parte dell'artista.
Si avvicina la sera, ed è con l'interludio "Stargirl" -  di cui ho parlato prima - che l'atmosfera generale del disco cambia: con l'introduzione di un nuovo personaggio femminile (la cui voce è quella di Lana Del Rey, ospite d'eccezione nel disco) lo Starboy ha intravisto la sua anima gemella, la cerca ma lei sfugge. La chitarra acustica che apre la successiva "Sidewalks" fotografa il suo stato d'animo malinconico e ancor più riflessivo, ed in effetti le sonorità creano un'atmosfera niente male, mentre il sole cala e si accendono le prime luci nelle case. Sulla stessa falsa riga scorre "Six feet under", con il suo ritmo compassato e ipnotico. Non è niente di eccezionale, e non aggiunge niente di più al disco, ma è pur sempre gradevole e ascoltabile.
E' notte fonda ormai,i ritmi del club annebbiano i pensieri, il buio e la musica contribuiscono a lasciarsi andare, e la musica sale di tono con "Love to lay", prodotto dal guru del pop Max Martin (autore di numerosi successi dei Backstreet Boys e Britney Spears, tra gli altri, e che già aveva collaborato con The Weeknd nel suo album precedente).
"Love to lay" è un midtempo indovinato, orecchiabilissimo, dove il nostro ragazzo stellare si interroga sul senso di un rapporto di coppia dove è lei a non volere una storia seria (al contrario dei soliti luoghi comuni da rockstar consumata) e quindi sfugge ad un legame duraturo lasciando dietro di sè solo delle intense - ma vuote - notti di passione:
"It has begun again, my friend
In this room, we are nothing but strangers in a bed
You made me fall again, my friend
How can I forget when you said love was just pretend?
Well I told her I've been thinkin' 'bout her lately
But she told me that to love her is so crazy
'Cause she loves to lay
I learned the hard way
She loves to lay, I'm all to blame..."
Strettamente legata a questa tematica (almeno per quanto riguarda il testo) è la successiva "A lonely night". Lo Starboy è ancora in cerca della sua Stargirl, le ore si sono fatte piccole, e la morsa di un cuore solitario è dolorosa ed asfissiante. Però la musica consola, il ritmo tira sù il morale, e il basso martellante entra nel corpo, lo fa muovere, lo fa reagire. Le ottantiane venature pop, tra il primo Michael Jackson (quello di "Off the wall" per intenderci) e un'elettronica più accentuata, tipica della musica disco dell'epoca (Pet Shop Boys), vengono rielaborate con maestria: il risultato è ancora una volta fresco ed attuale, e attenua momentaneamente il tormento delle tenebre.
Ma non c'è notte senza pena nè malinconia se si è soli:"Nothing without you" è una meraviglioso lento, evoluzione di tante ballate come "Angel" (sempre per fare un raffronto con il disco precedente); è in queste cose che Abel è  riuscito a migliorarsi, sfornando un pezzo strappalacrime meno prolisso del solito, ed arricchendolo con un arrangiamento più vario e meno scarno.
Il ritornello, nel suo tipico stile (quel ripetere la stessa parola 2/3 volte di fila è ormai uno stampo riconoscibile) è ancora una volta ben congeniato e magnetico; questa è musica che "vive" nella notte, prende forma, spicca il volo, e sentirla in macchina mentre si guida in una strada illuminata dai lampioni è qualcosa di spettacolare, tutto da vivere.
Anche "All I know" farebbe la sua parte in questo frangente:al brano contribuisce The Future, rapper dalla voce cupa e ruvida, che già in passato ha saputo regalare pezzi notevoli e molto notturni. 
I due si erano già musicalmente incontrati in passato (il frutto della loro collaborazione è stato "Low life"), e in "All I know" si nota un certo affiatamento che porta le due voci a plasmarsi alla perfezione. E' il momento più buio di "Starboy", quello più rarefatto e profondo:5 minuti cupi, a tratti neri come la pece, quasi pesanti da mandar giù come quelle notti interminabili in cui non si riesce proprio a prender sonno. Passato il punto più oscuro, fa capolino "Die for you" dove la melodia diventa più ariosa e propositiva:è il primo raggio di sole che illumina la nuova giornata, e la infervora di nuovi propositi e di una flebile speranza, che crescerà insieme alla luce che torna insieme ai Daft Punk con "I feel it coming". Si va così a chiudere il cerchio del disco, tornando da dove si era partiti ma in modo diverso (ecco il perchè del pensiero della "giornata"), più delicato e vellutato; quella fase di spossamento dopo essere rimasti svegli una notte intera in attesa del sorgere del sole, per intenderci.
Stavolta The Weeknd lascia più spazio ai produttori francesi, che subentrano a metà brano con le loro tipiche voci elettroniche. "I feel it coming" è più immediata della title track, vuoi per le rilassanti sonorità delle tastiere, vuoi per il testo più leggero ed ottimista:rappresenta l'alba vera e propria,che schiarisce le idee dello Starboy e rimette in moto il corso della vita, mettendo il protagonista di fronte alla prova di un nuovo giorno ma con una piacevole novità:probabilmente il ragazzo delle stelle è riuscito a trovare la sua anima gemella, quella Stargirl che aveva scombussolato i piani del "party monster", e questo lo si evince dalle sue parole:
"Tell me what you really like
Baby I can take my time
We don't ever have to fight
Just take it step-by-step
I can see it in your eyes
'Cause they never tell me lies
I can feel that body shake
And the heat between your legs
You've been scared of love and what it did to you
You don't have to run, I know what you've been through
Just a simple touch and it can set you free
We don't have to rush when you're alone with me..."
"Starboy" ha avuto la capacità di far entrare tutti i brani che lo compongono (non sto scherzando) nella HOT 100 di Billboard, la classifica dei singoli americana, battendo dopo meno di un anno il record detenuto da Drake, e grazie a questo disco The Weeknd ha inanellato anche un altro primato:è diventato l'artista con più ascolti su Spotify in un singolo giorno.
Riscontri davvero enormi, se si pensa che l'album è composto da ben 18 brani; la presenza di un numero così alto di canzoni poteva diventare un'arma a doppio taglio, aumentando il rischio di inserire brani che sarebbero potuti essere degli inutili riempitivi. 
Il disco invece regge bene, anche nei passaggi più oscuri che in tanti lavori possono anche diventare noiosi, e nel complesso scorre che è una bellezza. 
Quasi ogni brano è un potenziale hit che meriterebbe un video e di essere selezionato come singolo, e questo contribuirà senz'altro alla longevità del progetto che, a distanza di qualche mese dall'uscita, veleggia ancora nei quartieri alti della classifica USA. Al momento è difficile trovare un punto debole a questo album, e solo il tempo saprà dire se effettivamente diverrà uno di quei dischi fondamentali da consumare e usare come metro di paragone. 
Intanto è lì che suona ancora, perchè prima di scrivere queste ultime righe, mi sono alzato ed ho riportato il braccio del giradischi sul primo solco del lato A di questa splendida versione in vinile rosso. 
Mi sembra un ottimo segnale, non credete?
(R.D.B.)


VOTO : 8,5/10
BEST TRACKS : "STARBOY", "I FEEL IT COMING", "SECRETS", "A LONELY NIGHT", "NOTHING WITHOUT YOU", "LOVE TO LAY".